Il 19 luglio 2025 ricorre il 33° anniversario della strage di Via D’Amelio, uno dei giorni più bui della storia italiana. Alle 16:58 del 19 luglio 1992, un’autobomba contenente circa 100 chilogrammi di tritolo esplodeva in via Mariano D’Amelio a Palermo, uccidendo il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta: Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato a morire in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, che si trovava a parcheggiare l’auto al momento dell’esplosione. La strage avvenne appena 57 giorni dopo l’attentato di Capaci, che aveva ucciso Giovanni Falcone. Borsellino si trovava in quella strada per fare visita alla madre, in un gesto quotidiano che si trasformò in una tragedia nazionale.
Una verità ancora negata: i depistaggi e le menzogne
A 33 anni dalla strage, la verità sui mandanti e sui moventi rimane ancora ben lungi dall’essere stata scritta. La strage di Via D’Amelio è stata definita dai magistrati come “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, caratterizzata da bugie, depistaggi, omissioni e colpevoli silenzi che hanno ostacolato per decenni la ricerca della verità. Uno dei capitoli più oscuri della vicenda riguarda il falso pentito Vincenzo Scarantino, descritto come un “pupo costruito a tavolino” che con le sue dichiarazioni inventate fece condannare all’ergastolo sette innocenti. Scarantino, ritenuto “antropologicamente inadeguato ad avere un ruolo nella strage”, fu utilizzato per creare un depistaggio che nascondeva la verità sui reali responsabili. Il collaboratore di giustizia Santino Di Matteo aveva già dichiarato nel 1998 che Scarantino “aveva detto un sacco di bugie e fesserie sulla strage di via D’Amelio”, ma le sue parole furono ignorate.
L’agenda rossa scomparsa
Uno dei misteri più inquietanti riguarda la scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Il magistrato portava sempre con sé questo taccuino, in cui annotava riflessioni e contenuti dei suoi colloqui investigativi. Salvatore Borsellino, fratello del magistrato, ha confermato che l’agenda era nella borsa di cuoio che Paolo aveva con sé il giorno dell’attentato. Tuttavia, mentre la borsa fu ritrovata intatta, l’agenda scomparve nel nulla. L’ex procuratore generale Roberto Scarpinato ha spiegato l’importanza di questo documento: “Era essenziale prendere quell’agenda, non bastava uccidere Borsellino, perché se l’agenda rossa fosse finita nelle mani dei magistrati, sarebbe saltato tutto”. Gli inquirenti ritengono che l’agenda custodisse informazioni compromettenti sulla trattativa tra Stato e mafia e che chi se ne impossessò potrebbe utilizzarla ancora oggi come strumento di ricatto.
La pista massonica e Giovanni Tinebra
Nel 2025 sono emersi nuovi elementi inquietanti. La Procura di Caltanissetta ha scoperto che Giovanni Tinebra, procuratore di Caltanissetta dal 1992 al 2001 e responsabile delle indagini sulla strage, avrebbe fatto parte di una loggia massonica coperta a Nicosia, definita dagli inquirenti “una nuova P2”. Tinebra, morto nel 2017, era il capo del pool che coordinava le indagini condotte da Arnaldo La Barbera, ritenuto il regista del depistaggio. Un appunto del 20 luglio 1992 firmato da La Barbera, ritrovato negli archivi della squadra mobile di Palermo, rivela che “viene consegnato al dottore Tinebra, uno scatolo in cartone contenente una borsa in pelle e un’agenda appartenenti al Giudice Borsellino”. Questo documento, mai trasmesso agli inquirenti, potrebbe essere la chiave per comprendere la sorte dell’agenda rossa.
I processi e le condanne
La vicenda giudiziaria è stata caratterizzata da una serie di processi:
- Borsellino I: basato sulle false dichiarazioni di Scarantino, portò a condanne poi annullate
- Borsellino bis: emise 13 ergastoli contro i mandanti di Cosa Nostra
- Borsellino ter e quater: hanno continuato a fare luce sui depistaggi
Le parole del Presidente Mattarella
Nel corso degli anni, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha più volte richiamato l’importanza di fare luce sulla verità. Nel 2022, per il 30° anniversario, dichiarò: “Quell’anelito di verità che è indispensabile nelle aule di giustizia affinché i processi ancora in corso disvelino appieno le responsabilità di quel crudele attentato e degli oscuri tentativi di deviare le indagini”. Nel 2024, per il 32° anniversario, Mattarella ha ribadito: “La ricerca di una piena verità sulle circostanze e i mandanti dell’attentato è stata ostacolata da depistaggi. Il bisogno di verità è insopprimibile in una democrazia e dare ad esso una risposta positiva resta un dovere irrinunciabile”. Il Presidente ha sottolineato che Paolo Borsellino e Giovanni Falcone “hanno dimostrato che la mafia può essere sconfitta” e che il loro sacrificio “è divenuto simbolo di probità e di riscatto”. Per Mattarella, “la memoria è impegno e responsabilità” e “sconfiggere le mafie è possibile”.
Via D’Amelio: L’eredità di Paolo Borsellino
Paolo Borsellino aveva compreso il pericolo che stava correndo. Come riferì l’ex procuratore generale Roberto Scarpinato, il magistrato aveva detto alla moglie: “Sarà la mafia a uccidermi, ma quando altri lo decideranno”, individuando in entità esterne superiori alla mafia i veri mandanti della sua morte. Il magistrato aveva anche espresso la sua sfiducia verso alcuni colleghi, come rivelato dall’ex pm Vittorio Teresi: “Paolo Borsellino non si fidava del suo procuratore, presumibilmente affiliato a una loggia massonica”. Borsellino aveva chiesto più volte di essere ascoltato dalla Procura di Caltanissetta sui fatti di Capaci, ma non venne mai sentito nei 57 giorni che intercorsero tra le due stragi.
La commemorazione del 33° anniversario
Il 19 luglio 2025 segna il 33° anniversario di quella tragedia che scosse l’Italia. Come ogni anno, si tengono commemorazioni in tutta Italia, con la fiaccolata di Palermo organizzata dal comitato “Comunità 92” che rappresenta la più grande e longeva manifestazione antimafia in Sicilia. La strage di Via D’Amelio, come ha sottolineato l’ex procuratore generale Roberto Scarpinato, “non è solo un caso giudiziario, ma è molto di più. È un capitolo della storia della lotta al potere in Italia”. A 33 anni di distanza, quella ferita nella coscienza civile italiana continua a sanguinare, in attesa di una verità che sembra ancora lontana. La ricerca della verità, come ha ribadito il Presidente Mattarella, “resta un dovere irrinunciabile” per la democrazia italiana, affinché il sacrificio di Paolo Borsellino e dei suoi uomini di scorta non sia stato vano e la memoria di quel tragico pomeriggio del 19 luglio 1992 continui a essere un monito per le generazioni future.
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