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Indro Montanelli: Il ricordo 24 anni dopo la sua morte

Indro Montanelli
Indro Montanelli

Indro Montanelli è una figura estremamente nota del giornalismo italiano, apprezzato da destra e da sinistra, maestro del giornalismo italiano il cui valore è riconosciuto bipartisan. A 24 anni dalla sua scomparsa ricordiamo colui che è stato il padre del giornalismo contemporaneo in particolare dagli anni della Seconda Guerra Mondiale ai giorni nostri.

Il 22 luglio 2001 si spegneva a Milano, all’età di 92 anni, Indro Montanelli, una delle figure più emblematiche e influenti del giornalismo italiano del XX secolo. Esattamente 24 anni fa la stampa italiana perdeva quello che molti considerano il suo più grande protagonista: un uomo che ha attraversato quasi un secolo di storia, raccontandolo con quella prosa cristallina e quel rigore intellettuale che lo hanno reso immortale.

Montanelli da Fucecchio a Parigi

Nato a Fucecchio il 22 aprile 1909 da Sestilio Montanelli, modesto preside di liceo, e Maddalena Doddoli, figlia di un ricco proprietario terriero, Indro Alessandro Raffaello Schizogene Montanelli mostrò fin da giovane un temperamento inquieto e una spiccata attitudine per la scrittura. Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza nel 1930 e in scienze politiche nel 1932 a Firenze, il giovane Montanelli intraprese il suo percorso nel giornalismo. I suoi primi passi professionali li mosse a Parigi, dove nel 1934 iniziò a scrivere articoli di cronaca nera per il Paris-Soir. Questa esperienza francese fu fondamentale: gli permise di affinare quello stile diretto e incisivo che lo avrebbe contraddistinto per tutta la carriera. Dal settimanale “La Nuova Italia”, organo del Fascio locale parigino, venne mandato come corrispondente in Norvegia e poi in Canada. Fu proprio dagli articoli spediti dal Canada che Webb Miller, inviato della United Press, notò il talento del giovane giornalista toscano, suggerendone l’assunzione all’agenzia americana.

L’arrivo al Corriere e la consacrazione

Nel 1938 arrivò la svolta decisiva: Montanelli approdò al Corriere della Sera, dove sarebbe rimasto per ben 35 anni, diventando una delle firme più autorevoli del quotidiano milanese. Come corrispondente di guerra, raccontò alcuni dei momenti più cruciali della storia europea: fu testimone dell’invasione nazista della Polonia nel 1939, seguì la guerra russo-finlandese del 1940, e documentò l’invasione della Norvegia. Ma Montanelli non fu solo un cronista eccezionale. Il suo rapporto con il fascismo rappresenta una delle pagine più complesse della sua biografia. Inizialmente sostenitore del regime, partecipò volontario alla guerra d’Etiopia nel 1935 e poi alla guerra civile spagnola come corrispondente. Tuttavia, le sue posizioni critiche, in particolare dopo l’introduzione delle leggi razziali nel 1938, lo portarono prima all’espulsione dall’Albo dei giornalisti, poi all’esilio in Estonia come direttore dell’Istituto italiano di cultura. Nel 1943, dimostrato ormai il suo definitivo distacco dal fascismo, si unì al movimento partigiano Giustizia e Libertà. Catturato e incarcerato dai nazisti a San Vittore, fu condannato a morte, ma si salvò grazie all’intervento dell’arcivescovo di Milano, cardinale Schuster.

La fondazione del Giornale: una sfida coraggiosa

Nel 1973, dopo oltre quarant’anni al Corriere, Montanelli prese una decisione che avrebbe segnato la storia del giornalismo italiano: lasciò via Solferino in disaccordo con la svolta a sinistra impressa dal direttore Piero Ottone. Il 25 giugno 1974 nasceva “il Giornale nuovo” (poi semplicemente “il Giornale” dal 1983), fondato insieme a Enzo Bettiza, Gianni Granzotto e Guido Piovene. Il nuovo quotidiano si caratterizzò fin da subito per una linea editoriale liberale e conservatore, ma soprattutto per una totale indipendenza dalle logiche di partito. “Una voce contro il coro”, come lo definì lo stesso Montanelli. Nel 1977, quando il giornale attraversava difficoltà economiche, Silvio Berlusconi ne divenne l’editore, garantendo però inizialmente la piena autonomia editoriale a Montanelli.

L’attentato delle Brigate Rosse

Il 2 giugno 1977 Montanelli fu vittima di un attentato delle Brigate Rosse. Mentre usciva dall’Hotel Manin a Milano per recarsi in ufficio, un commando composto da Franco Bonisoli, Lauro Azzolini e Calogero Diana lo raggiunse nei pressi dei giardini pubblici. Bonisoli sparò quattro colpi: tre attraversarono la coscia destra, uno si fermò sul gluteo. Per miracolo, nessun proiettile colpì l’arteria femorale. L’attentato, che Montanelli raccontò con la sua consueta ironia parlando delle sue “lunghe zampe di pollo”, non fermò la sua attività giornalistica e anzi rafforzò la sua immagine di giornalista coraggioso e indipendente.

Il Montanelli scrittore e divulgatore storico

Montanelli non fu solo un grande giornalista, ma anche uno scrittore e saggista di straordinario successo. La sua opera più celebre rimane la monumentale “Storia d’Italia”, realizzata in collaborazione prima con Roberto Gervaso e poi con Mario Cervi. Quest’opera in 22 volumi, che copre la storia italiana dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente fino al 1997, è diventata un autentico fenomeno editoriale, mai uscita di catalogo in quasi 70 anni. Prima ancora aveva scritto la “Storia di Roma” (1957) e la “Storia dei Greci” (1959), opere che rivelarono la sua straordinaria capacità di rendere accessibile al grande pubblico la storia antica. Come scrisse nella prefazione alla “Storia di Roma”: “Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel’ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito”. Montanelli fu anche autore di romanzi, racconti e ritratti, raccolti in volumi come “Gente qualunque” e “Ritratti”, che mostrano la sua versatilità letteraria e la sua capacità di cogliere i tratti caratteristici del popolo italiano.

Gli ultimi anni: da La Voce alla Stanza

Nel 1994, quando Berlusconi decise di entrare in politica fondando Forza Italia, Montanelli lasciò la direzione de “il Giornale” per incompatibilità con le nuove esigenze politico-editoriali dell’editore. A 85 anni, con straordinario coraggio, fondò “La Voce”, un nuovo quotidiano che si richiamava all’omonima rivista di Giuseppe Prezzolini. Il nome non era casuale: “In ricordo non di quella di Sinatra. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – Prezzolini”, scrisse Montanelli. La Voce, pur vendendo 450mila copie al primo numero, ebbe vita breve: chiuse il 12 aprile 1995 per problemi economici. Montanelli tornò allora al suo Corriere della Sera, dove creò “La Stanza di Montanelli“, una rubrica di dialogo con i lettori che divenne leggendaria. In questo spazio, fino alla morte, rispose alle domande dei lettori con quello stile brillante, informale e antirettorio che era il suo marchio di fabbrica. Indro Montanelli ha lasciato un’eredità immensa al giornalismo italiano. La sua scrittura cristallina, la sua indipendenza intellettuale, il suo coraggio nel confrontarsi con i potenti, la capacità di essere “al servizio del lettore” fanno di lui un modello ancora oggi insuperato. Come disse lui stesso con lucida consapevolezza: “La mia eredità sono io”. A 24 anni esatti dalla sua scomparsa, Montanelli rimane il “principe dei giornalisti”, l’uomo che ha saputo attraversare un secolo di storia italiana mantenendo sempre salda la bussola della verità e dell’indipendenza. Un gigante che, con la sua ironia e la sua profonda umanità, continua a essere maestro di libertà per chi ha il privilegio di seguire le sue orme.

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