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Il 27 marzo 2020 papa Francesco pregava per la fine della pandemia in una piazza San Pietro deserta

Papa Francesco prega per la fine della pandemia il 27 marzo 2020
Papa Francesco prega per la fine della pandemia il 27 marzo 2020

Il 27 marzo 2020 Papa Francesco pregò da solo, ma con il conforto del mondo intero, in una piazza San Pietro deserta per la fine della pandemia da covid-19. Quante cose sono cambiate al mondo da quel giorno. Esattamente 5 anni fa il mondo intero viveva nell’incertezza della pandemia, un male invisibile che minacciava ogni abitante. Oggi le sfide sono diverse, sono altre, ma l’incertezza è sempre la stessa seppur con una visione meno collettiva. Esattamente 5 anni fa stavo seguendo nel tardo pomeriggio quella celebrazione. Non so per quale motivo volli iniziare a scrivere delle parole su ciò che stavo osservando. Fui preso dalla presenza del silenzio, dalla volontà di vedere in quei momenti il brivido unico che ti dà la penna del tempo quando scrive sul marmo della storia e la possibilità di dire a te stesso e agli altri “quel giorno io c’ero”. È un brivido che non puoi comprendere se non sei innamorato della storia. Mentre osservavo e ascoltavo il papa pensai di iniziare a lasciare su carta una parte delle mie emozioni. Fu così che scrissi un articolo per una testata con la quale collaboravo allora. Una collaborazione iniziata per gioco e trovatasi a passare attraverso il tunnel della pandemia da Covid-19.

Un ricordo del 27 marzo 2020

Pensai che forse sarebbe stato bello lasciare un ricordo di quello che stava accadendo, del resto il giornalista, il cronista, lo storico hanno in comune proprio il fatto di amare l’occasione di poter lasciare un ricordo, un racconto, in modo che chi era distratto e coloro che verranno dopo potranno capire cosa stava accadendo. Ma quel giorno abbiamo pensato che stavamo passando attraverso qualcosa di terribile. Il messaggio del Papa era un messaggio di speranza, perfettamente in armonia con la linea editoriale e con quella che era la volontà mia e della direttrice del giornale: lasciare ai lettori un messaggio di speranza. Allora lasciai che il mio cuore ascoltasse solo l’amore, quello per la storia, quello che guida tutte le altre emozioni. Fu così che tutte le emozioni provenienti da Piazza San Pietro giunsero nella mia cucina a Ottaviano e finirono su carta per andare, pochi minuti dopo, nuovamente a Roma, sottoforma di articolo sul quotidiano Il Digitale.

27 marzo 2020: quella compagnia nella solitudine

Quel giorno ascoltai il Papa e il mio cuore. Così facendo scrissi uno degli articoli più belli che avessi mai scritto. Di li a poco più di un anno sarebbe morta la mia mamma proprio per quel male sconosciuto che è il Covid-19. Ma non posso dire che in quei giorni non avessi visto la luce. C’era e come, la luce infondo al tunnel. Sapevo che ne saremo usciti e quel giorno ascoltando il papa ne ebbi la certezza, scrivendo l’articolo potei dirlo a chi leggeva. Si trattò di una delle emozioni più uniche e vera di tutta la mia vita, un momento indimenticabile, chiuso nell’isolamento ma non nella solitudine, grazie a tutte le persone che anche da lontano mi fecero compagnia, in quella solitudine, scacciandola.

Un giorno di speranza

Il 27 marzo 2020 papa Francesco voleva dare una speranza al mondo, noi al giornale volevamo darlo ai nostri lettori, io volevo essere sicuro che prima o poi, quella barca alla quale faceva riferimento il Papa, sarebbe uscita indenne da quella tempesta. Leggendo i libri di storia ne ero sicuro che l’umanità non sarebbe finita, ma avevo bisogno di capire che quello fosse un giorno di speranza e in quel momento ne ebbi la certezza.

Non perdiamo la capacità di emozionarci

Oggi sono passati 5 anni, 1826 giorni. Probabilmente non sarei più in grado di scrivere qualcosa del genere perché ho perso una buona parte della mia capacità di emozionarmi, non perché sia diventato arido ma perché il mondo mi ha disabituato alle emozioni, a quelle forti, a quelle umane. Non ci sarà mai un’intelligenza artificiale intelligente quanto un essere umano, ma questo ci toglierà la capacità di emozionare noi stessi e di conseguenza non potremo più emozionare gli altri. Se qualcuno è curioso, può leggere l’articolo sul Digitale cliccando qui. Come scrissi il 9 marzo, non dimenticate chi eravamo e chi siamo, emozionatevi, siate fragili di emozioni per essere forti di sentimenti.

Leggi anche Il 9 marzo 2020 iniziava il lockdown per il Covid-19: cosa ci resta 5 anni dopo

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