Da una settimana non si fa che parlare del nuovo Papa Leone XIV che ha scelto un nome che non veniva scelto dal 1878 e che fu utilizzato, al momento dell’elezione al sogli pontificio da un cardinale Gioacchino Vincenzo Raffaele Luigi Pecci, arcivescovo di Perugia città nella quale trascorse alcuni decenni in un periodo tutt’altro che facile per i rapporti tra il nascente Stato Italiano e quello della Chiesa. Il cardinale Pecci divenne pontefice massimo con il nome di Leone XIII. Nonostante l’età avanzata – al tempo l’aspettativa di vita era molto inferiore a quella attuale – di oltre 68 anni, Leone XIII restò in carica per 25 anni e 150 giorni dal 20 febbraio 1878 al 20 luglio 1903 quando di anni ne aveva oltre 93. A dispetto del lungo pontificato papa Pecci non uscì più dal palazzo Apostolico dalla sua elezione e fino alla sua morte, ma questo non gli impedì di essere uno dei papi più influenti della storia della Chiesa. Uomo colto, convinto della necessità della cultura per gli uomini di chiesa anche per predicare il Vangelo e acceso sostenitore del potere temporale dei pontefici, sempre per necessità pastorali, Leone XIII è ricordato soprattutto per la famosa Enciclica Rerum Novarum anche se quella fu soltanto la trentottesima di ben 86 encicliche.
L’enciclica Rerum Novarum e le trasformazioni sociali
Rerum Novarum fu promulgata il 15 maggio 1891 esattamente 134 anni fa e si capì immediatamente, in periodo ricco di trasformazioni sociali e politiche, la portata del messaggio del santo padre. Papa Pecci era a favore dei lavoratori pur differenziandosi dai comunisti. Era favorevole alle proteste ma non alla violenza. Nella sua enciclica riconosceva il diritto di protestare dei lavoratori verso i proprietari, ma al contempo esortava a non rinnegare la proprietà privata. Alla base del ragionamento c’era il fatto che, secondo il papa, i lavoratori avevano diritto a una giusta retribuzione per il loro lavoro e, in futuro, mettendo qualcosa da parte, avrebbero potuto loro stessi acquistare degli appezzamenti di terreno più o meno grandi con i loro risparmi. Se avessero negato l’esistenza della proprietà privata loro stessi si sarebbero preclusi una possibilità di miglioramento socioeconomico. In generale il lavoro deve essere proporzionato e non arrecare danni alla salute dei lavoratori. Il pontefice però aveva anche considerato il lavoro femminile e quello dei giovani, in altre parole quelle che oggi definiremo fasce deboli. Leone XIII sosteneva che alle donne e ai ragazzi andavano assegnati carichi lavorativi compatibili con le loro forze e che, nel caso della donna, permettessero comunque di lasciarle il tempo di occuparsi della famiglia. Anche le classi deboli come quelle degli operai e dei contadini, secondo il papa, devono ricevere le “provvidenze” da parte dello Stato più delle classi economicamente più forti. Il santo padre aveva però anche pensato a temi ed entità sociali come la famiglia, al rapporto tra le classi sociali differenti e al ruolo spirituale della Chiesa. Con le dovute differenze Rerum Novarum anticipa di oltre 50 anni alcuni diritti garantiti in Costituzione. Nella nostra Carta infatti sono presenti gli articoli 2, 3, 29, 36, 37, 38, 41, 42, 46 e, in un certo senso si può pensare anche agli articoli 7, 8 e 20. Si tratta di articoli che i padri costituenti hanno inserito nella Carta Costituzionale per tutelare l’eguaglianza sociale, la famiglia come società naturale, la retribuzione dei lavoratori, il lavoro femminile e minorile, l’assistenza sociale, l’iniziativa economica privata e la proprietà privata, la partecipazione dei lavorati alla gestione delle imprese e i rapporti tra Stato, Chiesa e religione.
Rerum Novarum e le encicliche di commemorazione
Leone XIII ebbe la lungimiranza, con la sua Rerum Novarum, di anticipare mutamenti sociali che per plasmarsi avrebbero richiesto quasi sei decenni, una grande crisi economica e due guerre mondiali. La società e la chiesa stessa restarono profondamente impressionate dal messaggio sociale dell’enciclica al punto che i pontefici successivi Pio XI, Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II scrissero delle encicliche – pubblicate quasi tutte il 15 maggio come la Rerum Novarum – per celebrarne gli anniversari.
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