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Quando gli Usa vendevano armi all’Iran con la compiacenza di Israele: Irangate

La bandiera Usa e quella dell'Iran con la al centro il nome dello scandalo Irangate e l'anno di inizio della vicenda il 1985
La bandiera Usa e quella dell'Iran con la al centro il nome dello scandalo Irangate e l'anno di inizio della vicenda il 1985

In un passato non troppo lontano gli Usa vendevano armi all’Iran degli ayatollah con la complicità di Israele, anzi, applicando la cosiddetta dottrina Nixon, si mirava a vedere l’Iran come un partner che permetteva agli Usa di non impegnarsi in prima persona nella regione per tutelare i propri interessi.

Prima della Rivoluzione islamica del 1979, l’Iran rappresentava uno dei più stretti alleati degli Stati Uniti nel Medio Oriente. Sotto il regno dello Scià Mohammad Reza Pahlavi, le relazioni tra i due paesi erano caratterizzate da una profonda cooperazione strategica e militare, consolidata soprattutto dopo il colpo di stato orchestrato dalla CIA nel 1953 che riportò al potere lo Scià. Durante gli anni Sessanta e Settanta, l’Iran divenne il principale cliente per le vendite di armi americane nella regione. Lo Scià aveva accesso praticamente illimitato all’arsenale militare statunitense, acquistando sofisticati sistemi d’arma che nessun altro alleato regionale poteva ottenere. Tra il 1972 e il 1976, i contratti stipulati tra i due paesi superarono la somma complessiva di 10 miliardi di dollari. L’Iran acquisì caccia F-14 Tomcat, F-4 Phantom, carri armati M-60 e Chieftain, oltre a sistemi missilistici avanzati. Questa massiccia fornitura di armamenti rientrava nella cosiddetta “dottrina Nixon”, secondo la quale gli Stati Uniti avrebbero delegato la salvaguardia dei propri interessi regionali a partner strategici accuratamente selezionati. L’Iran di Pahlavi rappresentava il baluardo americano contro l’espansione sovietica nel Golfo Persico e fungeva da garante della stabilità regionale.

La Rottura del 1979 e l’Embargo Armamenti

La Rivoluzione islamica del 1979 trasformò radicalmente i rapporti tra Washington e Teheran. Il 4 novembre 1979, un gruppo di studenti iraniani assaltò l’ambasciata americana a Teheran, tenendo in ostaggio 52 cittadini statunitensi per 444 giorni. Questo evento segnò l’inizio di una lunga crisi diplomatica che portò alla rottura delle relazioni ufficiali tra i due paesi nel 1980. L’amministrazione Carter impose immediatamente un embargo sulle vendite di armi all’Iran. Questa decisione creò un problema strategico per l’Iran, poiché la maggior parte delle sue forze armate erano equipaggiate con veicoli e armi di fabbricazione americana, acquistati durante il regno dello Scià. L’Iran, impegnato nella devastante guerra contro l’Iraq iniziata nel 1980, aveva disperato bisogno di pezzi di ricambio e munizioni per mantenere operativo il proprio arsenale di origine statunitense.

Irangate: Le Motivazioni per la Vendita Segreta di Armi

L’amministrazione Reagan si trovò di fronte a un complesso dilemma strategico nel Medio Oriente. Da un lato, manteneva l’embargo ufficiale contro l’Iran, considerato uno stato sponsor del terrorismo dal 1984. Dall’altro, temeva che l’isolamento totale dell’Iran potesse spingerlo definitivamente nell’orbita sovietica. Diversi funzionari dell’amministrazione Reagan iniziarono a considerare l’embargo come controproducente. Robert McFarlane, Consigliere per la Sicurezza Nazionale, propose nel 1985 una direttiva che suggeriva di sostenere gruppi iraniani moderati, motivando questa scelta con il rischio che l’URSS potesse approfittare della crisi per influenzare la politica iraniana.

L’operazione Iran-Contra nasceva da tre obiettivi principali interconnessi:

  1. Liberazione degli ostaggi: Sette cittadini americani erano tenuti prigionieri in Libano dal gruppo Hezbollah, legato all’Iran. L’amministrazione sperava che la vendita di armi potesse convincere l’Iran a facilitare il loro rilascio.
  2. Apertura diplomatica: L’obiettivo era stabilire contatti con elementi “moderati” all’interno del regime iraniano che potessero favorire un futuro riavvicinamento dopo la morte di Khomeini.
  3. Finanziamento dei Contras: I profitti derivanti dalle vendite di armi sarebbero stati dirottati per finanziare segretamente i guerriglieri Contras in Nicaragua, aggirando le restrizioni del Congresso.

Le Leggi Violate e le Giustificazioni Legali

La vendita di armi all’Iran violava direttamente l’embargo imposto dall’amministrazione Carter e mantenuto ufficialmente da Reagan. L’Iran era stato designato come stato sponsor del terrorismo nel 1984, rendendo illegale qualsiasi trasferimento di armamenti. Le operazioni di finanziamento dei Contras violavano una serie di emendamenti approvati dal Congresso tra il 1982 e il 1984, noti collettivamente come Boland Amendment. Questi emendamenti proibivano specificamente l’uso di fondi federali “per il proposito di rovesciare il governo del Nicaragua”. L’emendamento Boland del 1984 aveva rafforzato ulteriormente queste restrizioni, rendendo il sostegno quasi impossibile. La vendita di armi violava anche l’Arms Export Control Act, che regolamentava rigorosamente i trasferimenti di armamenti a paesi terzi. Le operazioni condotte dall’NSC aggiravano i meccanismi di controllo congressuale sui finanziamenti governativi.

Il Ruolo di Israele: Un’Alleanza Paradossale

Paradossalmente, Israele, tradizionale nemico dell’Iran post-rivoluzionario, giocò un ruolo cruciale nel facilitare e nel fare da intermediario per le vendite di armi. Gli obiettivi israeliani erano molteplici: impedire una vittoria facile dell’Iraq nella guerra Iran-Iraq, mantenere entrambi i paesi indeboliti dal conflitto, e creare opportunità commerciali per l’industria bellica israeliana. Israele aveva già iniziato a fornire armi all’Iran immediatamente dopo la caduta dello Scià nel 1979. Nel 1981, nell’operazione “Seashell”, Israele vendette all’Iran armamenti per 75 milioni di dollari, inclusi 150 cannoni anticarro M-40, pezzi di ricambio per carri armati e aerei, e missili TOW. Secondo alcune stime, tra il 1981 e il 1983, le vendite di armi israeliane all’Iran raggiunsero i 500 milioni di dollari. Nel contesto dell’operazione Iran-Contra, Israele fungeva da intermediario: avrebbe fornito le armi all’Iran, mentre gli Stati Uniti avrebbero riapprovvigionato le scorte israeliane e ricevuto i pagamenti iraniani. Questa struttura permetteva agli americani di mantenere una parvenza di negabilità plausibile.

I Protagonisti e le Trattative

Manucher Ghorbanifar fu una figura centrale nelle trattative. Questo trafficante di armi iraniano, ex agente del SAVAK (la polizia segreta dello Scià), fungeva da intermediario tra le varie parti. Ghorbanifar aveva connessioni sia con l’intelligence iraniana che con quella israeliana, e alcuni lo consideravano un doppio agente. Oliver North, tenente colonnello dei Marines e membro del Consiglio di Sicurezza Nazionale, divenne il coordinatore operativo dell’intera operazione. North gestiva sia la vendita di armi all’Iran che il dirottamento dei profitti ai Contras nicaraguensi. Le trattative iniziarono nel 1984 quando rappresentanti israeliani e iraniani si incontrarono per discutere l’apertura di un canale per armi americane sofisticate. L’incontro si tenne in Israele tra Ghorbanifar e rappresentanti israeliani tra cui Yaakov Nimrodi, ex addetto militare israeliano in Iran, e David Kimche, direttore generale del ministero degli esteri israeliano. Ghorbanifar sosteneva che esistevano funzionari iraniani favorevoli a un orientamento più filo-occidentale e che la vendita di armi americane sofisticate avrebbe aiutato questa fazione a guadagnare influenza presso l’Ayatollah Khomeini. Nonostante le vendite massicce di armamenti, i risultati furono deludenti. Solo tre ostaggi americani furono liberati durante tutto il periodo dell’operazione, mentre altri tre furono catturati. L’obiettivo di stabilire contatti con moderati iraniani si rivelò illusorio.

Lo Scoppio dello Scandalo Irangate

Lo scandalo esplose il 3 novembre 1986 quando il quotidiano libanese Ash-Shiraa rivelò per la prima volta l’accordo di scambio armi-ostaggi. La notizia fu apparentemente trapelata da Mehdi Hashemi, un alto funzionario dell’Esercito dei Guardiani della Rivoluzione Islamica iraniana. Il 25 novembre 1986, il Procuratore Generale Edwin Meese ammise pubblicamente che i profitti delle vendite di armi stavano finanziando i Contras. Lo stesso giorno, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale John Poindexter si dimise e Oliver North fu licenziato dal Presidente Reagan. Lo scandalo si aggravò quando emerse che North aveva distrutto o nascosto documenti pertinenti tra il 21 e il 25 novembre 1986. Grandi volumi di documenti relativi all’affare furono distrutti o sottratti agli investigatori da funzionari dell’amministrazione Reagan. Lo scandalo minò duramente la credibilità di Reagan. Una “marea politica”, come la definì il Segretario di Stato George Shultz, sembrava destinata a distruggere la presidenza Reagan a meno che non fossero state fornite immediatamente informazioni essenziali al pubblico. Reagan nominò la Tower Commission il 1° dicembre 1986 per investigare l’affare. La commissione, composta dall’ex senatore John Tower, dall’ex Segretario di Stato Edmund Muskie e dall’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale Brent Scowcroft, pubblicò il suo rapporto il 27 febbraio 1987. Il rapporto della Tower Commission “ritenne Reagan responsabile di uno stile manageriale lasso e di distacco dai dettagli politici”. La commissione concluse che il direttore della CIA William Casey avrebbe dovuto assumere il controllo dell’operazione, informare il presidente dei rischi e notificare il Congresso come legalmente richiesto. Il 4 marzo 1987, Reagan si rivolse alla nazione in un discorso televisivo in prima serata, assumendo la “piena responsabilità” per l’affare. Reagan ammise che “quello che iniziò come un’apertura strategica verso l’Iran si deteriorò, nella sua implementazione, in uno scambio di armi per ostaggi”.

Le Conseguenze Giudiziarie

Il 19 dicembre 1986, Lawrence Walsh fu nominato procuratore indipendente per investigare l’affare Iran-Contra. Walsh, ex giudice e vice procuratore generale nell’amministrazione Eisenhower, condusse un’inchiesta durata anni che portò a numerose incriminazioni. Il 16 marzo 1988, un gran giurì federale incriminò Oliver North, John Poindexter e altri due partecipanti chiave – il generale in pensione Richard Secord e l’uomo d’affari Albert Hakim – con 23 capi d’accusa di cospirazione per frodare gli Stati Uniti. Oliver North fu processato nel 1989 su 12 capi d’accusa. Benché la natura dei crimini fosse estesa, le accuse si riassumevano in: ostruzione del Congresso e false dichiarazioni, accettazione di denaro illegale in cambio di servizi governativi, e cospirazione per frodare gli Stati Uniti. North fu condannato su tre capi d’accusa minori, ma le sue condanne furono annullate in appello. John Poindexter fu processato e condannato nell’aprile 1990 su cinque capi d’accusa, inclusi: un capo di cospirazione per ostacolare inchieste ufficiali, due capi di ostruzione del Congresso, e due capi di false dichiarazioni al Congresso. Fu condannato a sei mesi di prigione, ma anche le sue condanne furono ribaltate in appello nel novembre 1991. Secondo il rapporto finale di Walsh, delle 14 persone incriminate durante l’inchiesta: quattro furono condannate per crimini dopo processo con giuria, seven si dichiararono colpevoli di crimini o reati minori, e uno ebbe il caso archiviato perché l’amministrazione rifiutò di declassificare informazioni ritenute necessarie dalla difesa. Il 24 dicembre 1992, il Presidente George H.W. Bush concesse il perdono presidenziale al Segretario della Difesa Caspar Weinberger e ad altre cinque figure controverse. Bush disse che Weinberger era un “vero patriota americano” che aveva servito “con distinzione”. Walsh notò che, nel concedere i perdoni, Bush sembrava prevenire il proprio coinvolgimento attraverso prove che emersero durante il processo Weinberger.

L’Eredità dello Scandalo

Lo scandalo Iran-Contra rappresentò uno dei più gravi attacchi al sistema costituzionale americano dal Watergate. Mise in luce i pericoli di operazioni segrete condotte senza supervisione congressuale e dimostrò come funzionari dell’esecutivo potessero aggirare le restrizioni legislative attraverso operazioni coperte. Nonostante le gravi violazioni costituzionali e legali, Reagan riuscì a completare il suo secondo mandato, recuperando credibilità attraverso la sottoscrizione dell’accordo INF con Mikhail Gorbachev. Tuttavia, lo scandalo lasciò un’eredità duratura sul dibattito riguardo i limiti del potere esecutivo e l’importanza della supervisione congressuale in materia di politica estera.

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