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C’era una volta il prestigio dei presidenti Usa: Kennedy a Berlino

Il presidente Usa John Kennedy al Rathaus di Berlino il 26 giugno 1963
Il presidente Usa John Kennedy al Rathaus di Berlino il 26 giugno 1963

Il 26 giugno 1963 il presidente degli Stati Uniti John Fritgerard Kennedy era in visita a Berlino. L’attuale capitale della Germania si trovava nella parte orientale, per la precisione nel settore sovietico ed era a sua volta divisa in 4 settori appartenenti alle potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale: Usa, Urss, Gran Bretagna e Francia. Dal 1961 era presente il famoso muro di Berlino che cadde, come simbolo dell’Unione Sovietica e seguito da essa, il 9 novembre 1989.

Ich Bin Ein Berliner: il contesto geopolitico

La visita di Kennedy a Berlino cadeva in un momento di forti tensioni geopolitiche, ma anche all’indomani di un nuovo modo di comunicare tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. La famosa linea rossa che collegava Washington a Mosca – che in realtà non era rossa e non era un telefono ma una telescrivente – era stata inaugurata da poco per consentire di ridurre le tensioni tra le superpotenze nucleari. JFK quel giorno aveva concordato con i suoi consiglieri di fare un discorso non troppo lungo ma che desse l’idea di quanto gli USA fossero disposti a tutto per difendere Berlino pur riconoscendo, al contempo, la necessità di mantenere lo status quo al fine di evitare un conflitto nucleare totale. Il palco era stato allestito nei pressi del municipio di Schoneberg – non sul balcone dell’edificio come alcune fonti erroneamente riportano – che all’epoca era la prima municipalità della Berlino occidentale. Prima del discorso il presidente aveva fatto tappa nell’ufficio del sindaco Willy Brandt con il quale aveva avuto un’accesa discussione all’atto dell’invasione della Baia dei Porci, un dissidio superato. A Kennedy venne in mente, mentre saliva le scale del municipio, quella frase, la voglia unita alla necessità di sentirsi, immedesimarsi e identificarsi con ogni singolo abitante di Berlino. Per questo motivo ne parlò con il suo interprete e si esercitò a pronunciare quanto meglio la frase nei minuti precedenti il discorso nell’ufficio di Brandt. La frase che sarebbe entrata nella storia fu estratta dal discorso che qualche ora dopo fu ripetuto, con qualche piccola modifica, all’Università Libera di Berlino:

“Two thousand years ago, the proudest boast was civis Romanus sum. Today, in the world of freedom, the proudest boast is “Ich bin ein Berliner.”

Che tradotta in italiano diventa:

“Duemila anni fa, il più grande orgoglio era dire civis Romanus sum. Oggi, nel mondo libero, il più grande orgoglio è dire Ich bin ein Berliner.”

Il presidente metteva in evidenza il fatto che ai tempi dell’Impero Romano il più grande orgoglio era esserne cittadino e godere dei diritti che questo comportava, ma nel 1963 il più grande orgoglio era poter dire “Io sono un berlinese”. Perché secondo Kennedy “tutti gli uomini liberi, in qualsiasi posto del mondo si trovino, sono cittadini di Berlino”.

Chi vuole fare demagogia accusa Kennedy di aver legittimato la divisione di Berlino e di aver riconosciuto all’Unione Sovietica il diritto di mantenere lo status quo. Il presidente Kennedy però non era uomo da prendere decisioni a cuor leggero soprattutto quando queste decisioni potevano condizionare la vita della maggior parte dei cittadini del pianeta. Kennedy era consapevole di dover trovare un modo affinché le superpotenze potessero coesistere in pace, del resto aveva da poco avuto la fermezza e il polso di gestire con successo la Crisi dei missili di Cuba, ma il discorso era un guanto di sfida politica e filosofica a Kruscev e a tutto il sistema comunista. “La libertà ha molte difficoltà e la democrazia non è perfetta ma non abbiamo mai costruito un muro per impedire a qualcuno di lasciarci.” Questa è l’essenza ultima della libertà: la possibilità di scegliere. Il principio in base al quale non siamo migliori degli altri per partito preso, non abbiamo diritto a più e meglio, non siamo necessariamente dalla parte giusta ma nel nostro sistema di valori riconosciamo che possano esistere anche altri valori, diversi dai nostri, ma con lo stesso diritto di affermarsi. La democrazia ha i suoi limiti, oggi più visibili di ieri, ha i suoi difetti. La democrazia non è perfetta, anzi, in alcuni casi dalla sua applicazione scaturiscono condizioni orribili ma è l’unico sistema di governo capace di tutelare, con i suoi principi, l’ossimoro di sé stessa. Probabilmente il presidente, senza volerlo, ha tenuto la più famosa lectio magistralis della storia della democrazia quel giorno a Berlino nella piazza che oggi porta il suo nome in seguito alla sua tragica e prematura morte. Kennedy fu interrotto dagli applausi in più occasioni, ma non erano applausi comuni, era l’abbraccio di un popolo intero, berlinese, tedesco, europeo e mondiale che si indentificava con l’uomo venuto dall’altra sponda dell’Atlantico che con la forza delle sue parole aveva scalfito il marmo della storia così a fondo che l’oppressione della libertà aveva soltanto potuto sfiorare ciò che indelebilmente vi aveva scritto.

Una figura ponderata, carismatica, consapevole della dialettica esercitata in un ambiente nel quale il confronto dialettico è parte integrante e simbiotica della comunicazione. Uno dei veri leader, probabilmente uno dei pochissimi veri capi del Novecento, quel XX secolo, secolo breve che ha trasformato, più di ogni altro, l’umanità.

“Ogni uomo libero, ovunque viva è cittadino di Berlino”

In qualunque parte del mondo vivano uomini liberi, il tutto e il singolo, il grande e il piccolo, l’infinito e l’infinitesimo sono tutti parte dello stesso concetto universale di liberà, se c’è libertà questa esiste perché esiste Berlino e in ogni parte del mondo chiunque ne possa godere si identifica con essa e quindi con gli abitanti di questa città. In modo più concreto: se esiste la liberà negli anni Sessanta è perché possiamo garantire la libertà di Berlino. Se poi qualcuno nel mondo occidentale o comunque uno scettico, avesse dubbi nell’ammettere la differenza tra la libertà e l’oppressione e tra il sistema democratico e quello comunista, ha la libertà di poter verificare in prima persona: “Che vengano a Berlino”. I detrattori hanno accusato Kennedy di aver detto di essere un bombolone dal momento che il bombolone berlinese era un tipo di Krapfen. Tuttavia si stava parlando di cittadinanza e dal contesto si capiva perfettamente a cosa volesse alludere il presidente. Inoltre, la presenza dell’articolo “Ich bin ein berliner”, anziché come i sedicenti esperti di lingua tedesca affermano “Ich bin berliner”, non pregiudica la correttezza dell’espressione usata dal presidente.

Il Presidente John Kennedy a Berlino il 26 giugno 1963 dal palco allestito nei pressi del municipio. Il secondo alla sinistra di Kennedy è il sindaco di Berlino Willy Brandt

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