Il 6 agosto 1945 qualche secondo dopo le 8:15 dalla città di Hiroshima si propagò un’onda d’urto fortissima che attraversò lo spazio e il tempo: il pianeta in quel preciso posto dello spazio e istante del tempo aveva visto, per la prima volta in condizioni non sperimentali, l’uso di una nuova tipologia di armi che avrebbe per sempre cambiato l’assetto geopolitico mondiale.
Anni prima gli Usa avevano investito miliardi di dollari – consideriamo l’elevato potere di acquisto, molto maggiore di quello attuale a causa della convertibilità in oro del dollaro – nel progetto Manhattan finalizzato a tenere segreta la costruzione di una bomba che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto facilitare la vittoria degli Stati Uniti e degli Alleati contro la Germania nazista in Europa. Hitler fu vinto prima che la bomba fosse ultimata e si preferì usarla contro il Giappone di Hiroito.
Come il segretario alla guerra di Truman, Henry Stimson ebbe a dire al presidente, l’uso della bomba avrebbe ridefinito i rapporti tra gli Alleati, in particolare quelli con l’Unione Sovietica di Stalin. Lo stesso Stimson suggerì a Truman di prendere tempo a Postdam perché quando sarebbero stati sicuri di poter usare la bomba gli Stati Uniti avrebbero avuto più carte da giocare sul piano diplomatico. Se qualcuno aveva dubbi che la guerra fredda fosse iniziata prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, almeno da questo, può farsi un’idea che li sciolga. Lo stesso giorno del bombardamento nucleare, il 9 agosto, qualche minuto dopo la mezzanotte, l’Armata Rossa aveva attaccato il Giappone con un milione e mezzo di effettivi, decine di migliaia tra carri armati, semoventi e pezzi d’artiglieria, anche per questo l’allarme aereo a Hiroshima non fu seguito dall’innalzamento dei caccia nipponici perché, trattandosi di 2 – 3 B29 il comando militare giapponese tendeva a escludere un bombardamento su larga scala, preferendo quindi risparmiare le forze per contrastare eventuali attacchi più intensi.
Il bombardamento diede un vantaggio strategico agli Stati Uniti come spiega Gar Alperovitz in uno dei libri più esaustivi mai scritti sulla vicenda “Un asso nella manica. la diplomazia atomica americana: Postdam e Hiroshima”, gli Usa avevano valutato di non usare la bomba ma Stimson e Truman, insieme allo stato maggiore, avevano capito che sarebbe stato un messaggio chiaro all’Unione Sovietica che avrebbe messo gli Usa in condizione privilegiata. Inoltre, in Europa la definizione delle sfere di influenza stava pendendo troppo a favore di Stalin. Sempre Alperovitz spiega come una parte dei politici giapponesi avessero iniziato a trattare con gli americani fin dal gennaio del 1945 nonostante il governo militare escludesse categoricamente qualsiasi ipotesi di resa. Prescindendo da tutto ciò, in America avevano deciso che la bomba doveva essere usata, probabilmente anche per dare ragione d’esistere alle spese e all’organizzazione del progetto Manhattan.
Dresda, Berlino, Kyoto, Tokyo, sono solo alcuni esempi di città che hanno subito bombardamenti convenzionali che hanno provocato migliaia di vittime, a Dresda 35 mila in una sola notte, a Tokyo circa 100 mila in pochi giorni. La differenza stava nel fatto che per procurare una tale distruzione era necessario impiegare centinaia se non migliaia di aerei con altrettanti piloti utilizzando un numero folle di ordigni contenenti migliaia di tonnellate di tritolo. Con l’avvento della bomba atomica diventava invece possibile procurare la medesima distruzione usando un solo ordigno, con un solo aereo o al massimo un paio di velivoli in appoggio. Si stava realizzando, in tal modo, la teoria dei 4 sceriffi di Roosevelt che attribuiva a sole 4 o 5 grandi potenze la possibilità di avere questo tipo di armi: Stalin realizzò la sua prima bomba nel 1949, successivamente raggiunsero l’obiettivo la Gran Bretagna, la Francia e la Cina, poi India e Pakistan e, infine la Corea del Nord. Tutto senza considerare Israele al quale sono attribuite in vi ufficiosa circa 200 testate. Durante la Guerra Fredda solo Usa e Urss hanno prodotto tante testate che se ognuna fosse stata messa su un vagone di un treno merci, questo sarebbe diventato così lungo da cingere tutta la circonferenza del pianeta. Le due superpotenze avevano programmi atomici – basati su armi all’uranio o al plutonio – e programmi nucleari basati su armi all’idrogeno ben più distruttive. A tali programmi corrispondevano strategie che garantivano la capacità di ritorsione ad esempio negli Usa, negli anni Cinquanta e Sessanta, ma anche dopo fino alla fine della Guerra Fredda, vi erano bombardieri strategici, solitamente B52, sempre in volo, in parti diverse del mondo, che avevano a bordo testate nucleari in modo da garantire una risposta rapida, con armi nucleari, a un eventuale aggressione nucleare dell’Unione Sovietica. Lo scopo era di impedire al nemico di distruggere con un colpo solo la totale capacità di ritorsione. D’altro canto l’Unione Sovietica aveva un analogo programma basato sulla circolazione di treni in continuo movimento. Questi 2 programmi erano sempre attivi, a tutte le ore del giorno, tutti i giorni dell’anno, con tutte le condizioni climatiche e metereologiche. È stato proprio quell’equilibrio basato sulla paura a garantire la sopravvivenza del mondo. Un mondo nel quale una sola potenza possieda le armi nucleari sarebbe sbilanciato a favore e nelle mani di quest’ultima: se solo gli Usa o l’Urss avessero avuto un’arma atomica il mondo non sarebbe stato un insieme di sfere di influenza ma il giardino della potenza egemone al pari di una colonia.
La narrazione odierna è poi colma di riferimenti allo spauracchio di una guerra mondiale sotto forma di conflitto nucleare totale e definitivo. Negli anni Sessanta, in particolare con la Crisi dei Missili di Cuba, americani e sovietici hanno imparato la convenienza della coesistenza e convivenza. Il capitalismo e il neoliberismo hanno tanti difetti e sono stati implementati come i due mali che affliggono la società moderna tuttavia hanno l’effetto collaterale buono che è quello di trasformare il cittadino in consumatore: una guerra mondiale costa più di quanto si possa guadagnare dai consumi globalizzati di miliardi di persone. Le guerre combattute per procura – che non sono un’invenzione contemporanea ma sono esistite perlomeno nei 2 secoli precedenti se non prima – rappresentano più che una miccia pronta a infiammarsi, una valvola di sfogo per gli apparati industriali, un modo per marcare il territorio ma, in definitiva, un nuovo modo di comunicare garantendo la coesistenza considerando un’unica linea rossa: l’uso di armi nucleari. Una guerra mondiale non è possibile perché dalla Crisi di Cuba i 2 attori principali – che al momento nonostante il nutrito club atomico sono gli unici in grado di sostenere una guerra mondiale – hanno imparato la comunicazione basata su atti di forza ma anche di responsabilità, concordando in modo più o meno implicito che l’unica mossa intollerabile, da ambo le parti, sarebbe l’uso di armi nucleari non solo nell’ambito di una guerra diretta ma anche contro paesi terzi. Questa “garanzia” non rende meno disgustose e inumane le guerre e le manovre politiche finalizzate all’annientamento, tramite la guerra, di paesi più deboli.
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