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Watergate: Il Più Grande Scandalo Politico della Storia Americana

Il presidente Usa RIchard Nixon ed Henry Kissinger durante lo scandalo Watergate
Il presidente Usa RIchard Nixon ed Henry Kissinger durante lo scandalo Watergate

Il 17 giugno 1972 fu scoperto quello che sarebbe diventato il più grande scandalo della storia degli Stati Uniti d’America: il Watergate. Agli italiani che troppo spesso dicono frasi fatte del tipo “mi vergogno di essere italiano”, vale la pena ricordare che nel nostro Paese la Costituzione assicura l’indipendenza della magistratura, condizione imprescindibile per la realizzazione e l’esistenza della democrazia. Il dettato costituzionale assicura che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” e che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere“. Il presidente degli Stati Uniti Nixon cercò, con pochi scrupoli e poco pudore, di far licenziare i giudici che indagavano sul caso – e ci riuscì – ma un’inchiesta giornalistica e la Corte Suprema non permisero che l’uomo più potente del mondo fosse più potente della legge. In Italia questo non sarebbe possibile perché neppure il capo del CSM, che è il presidente della Repubblica, potrebbe chiedere a un ministro di licenziare o trasferire i giudici che potrebbero indagare sul suo conto. Di seguito proponiamo ai lettori la ricostruzione dello scandalo Watergate.

L’origine del nome e il complesso Watergate

Lo scandalo che avrebbe cambiato per sempre la storia politica degli Stati Uniti prese il nome dal Watergate Complex, un elegante complesso edilizio situato a Washington D.C. presso il fiume Potomac. Il nome “Watergate” significa letteralmente “Porta dell’acqua”, e il complesso ospitava il Watergate Hotel insieme a uffici e residenze. Fu proprio in questo edificio che aveva sede il quartier generale del Comitato Nazionale Democratico, il cui sesto piano sarebbe diventato il teatro dell’effrazione che scatenò il più grande scandalo politico della storia americana.

La notte del 17 giugno 1972: L’effrazione che cambiò la storia

La notte tra il 16 e il 17 giugno 1972, una serie di eventi apparentemente insignificanti avrebbe innescato la caduta di un presidente. Frank Wills, una guardia di sicurezza del complesso Watergate, notò un pezzo di nastro adesivo applicato sulla porta tra il pozzo delle scale e il parcheggio sotterraneo per mantenerla socchiusa. Inizialmente Wills rimosse il nastro, pensando fosse stato dimenticato dall’impresa di pulizie, ma quando ritornò e scoprì che era stato riposizionato, allertò immediatamente la polizia che trasse in arresto cinque uomini: Bernard Barker, Virgilio González, Eugenio Martínez, James W. McCord Jr. e Frank Sturgis. Questi individui erano stati sorpresi mentre tentavano di installare microspie negli uffici del Comitato Nazionale Democratico. Non era la loro prima incursione: erano già entrati nello stesso ufficio tre settimane prima e stavano tornando per riparare alcune microspie telefoniche che non funzionavano correttamente.

Il coinvolgimento del Comitato per la Rielezione del Presidente

L’effrazione del Watergate non era un’operazione isolata, ma faceva parte di un vasto piano di spionaggio orchestrato dal Committee to Re-elect the President (CREEP), spesso chiamato ironicamente con questo acronimo che significa “strisciare”. L’operazione era stata autorizzata durante incontri nel febbraio 1972 dal presidente del Comitato John Mitchell e dal suo vice Jeb Magruder. James McCord Jr., capo della sicurezza del CREEP, aveva guidato l’operazione del 28 maggio 1972 per installare i primi dispositivi di intercettazione. L’obiettivo era quello di ottenere informazioni compromettenti sui democratici e sul candidato presidenziale George McGovern. Il gruppo, coordinato anche da G. Gordon Liddy e E. Howard Hunt, faceva parte della cosiddetta unità “Plumbers” (idraulici), creata per “tappare le falle” di informazioni che filtravano alla stampa.

L’inchiesta del Washington Post: Woodward, Bernstein e Ben Bradlee

Mentre l’amministrazione Nixon tentava di minimizzare l’accaduto definendolo un “tentativo di scasso di terza categoria”, due giovani giornalisti del Washington Post iniziarono un’inchiesta che avrebbe scosso le fondamenta del potere americano. Bob Woodward e Carl Bernstein, sotto la guida del direttore Ben Bradlee, dimostrarono una determinazione e sagacia straordinarie. I due reporter contattarono centinaia di interlocutori per raccogliere informazioni e seguirono piste d’indagine apparentemente trascurate dagli investigatori federali1. Il loro lavoro metodico e coraggioso li portò a svelare gradualmente i collegamenti tra l’effrazione e i più alti livelli dell’amministrazione Nixon. Per questo impegno, Bernstein e Woodward ricevettero il Premio Pulitzer per il Servizio Pubblico nel 1973. Ben Bradlee, il leggendario direttore del Washington Post, fu una delle poche persone a conoscere sin dall’inizio l’identità della fonte segreta che alimentava l’inchiesta. La sua leadership coraggiosa trasformò il Post da modesto giornale cittadino in un autorevole quotidiano nazionale.

Deep Throat: La fonte misteriosa rivelata dopo 33 anni

Fin dall’inizio dell’inchiesta, Woodward poté contare su informazioni essenziali fornite da una fonte segreta denominata in codice “Deep Throat” (Gola Profonda). Questo personaggio misterioso incontrò regolarmente Woodward seguendo procedure complicate e precauzioni di estrema sicurezza, aiutandolo a comprendere il ruolo effettivo dei vari protagonisti e i loro oscuri intrighi. “Deep Throat” non forniva informazioni dirette, ma indicava in modo spesso sibillino gli elementi da ricercare. Una delle sue indicazioni più importanti fu quella di “seguire il denaro” (follow the money), suggerendo di investigare sull’origine dei fondi forniti agli esecutori materiali dell’effrazione. L’identità di “Deep Throat” rimase nascosta per oltre tre decenni e fu svelata solo nel 2005, quando W. Mark Felt, ex vice-direttore dell’FBI, rivelò poco prima della sua morte di essere stato lui la famosa fonte misteriosa di Woodward. Felt aveva 91 anni quando fece questa rivelazione attraverso un articolo sulla rivista Vanity Fair.

Le minacce di John Mitchell a Katharine Graham

Una delle intimidazioni più famose nella storia del giornalismo americano avvenne quando John Mitchell, procuratore generale di Nixon e capo del comitato per la rielezione, minacciò direttamente l’editrice del Washington Post. Mitchell disse al reporter Carl Bernstein riguardo a un imminente articolo sul Watergate: “Katie Graham’s gonna get her tit caught in a big fat wringer if that’s published” (Katie Graham si troverà una tetta in una grande strizzatrice se quello viene pubblicato). Katharine Graham, proprietaria e editrice del Washington Post, dimostrò un coraggio straordinario nel sostenere l’inchiesta dei suoi giornalisti nonostante le pressioni e le minacce. Il Post pubblicò la citazione, anche se l’editore Benjamin Bradlee decise di censurare le parole più volgari.

Nixon e la manipolazione della magistratura

Mentre le indagini si intensificavano, Nixon tentò sistematicamente di ostacolare il corso della giustizia. Il presidente si rifiutò di consegnare i nastri delle registrazioni dello Studio Ovale, invocando il “privilegio dell’esecutivo”. Quando il procuratore speciale Archibald Cox insistette per ottenere i nastri, Nixon ordinò il suo licenziamento. Il 20 ottobre 1973 si verificò quello che passò alla storia come il “Massacro del Sabato Sera” (Saturday Night Massacre). Nixon ordinò al procuratore generale Elliot Richardson di licenziare Cox, ma Richardson si rifiutò e si dimise. Quando anche il vice procuratore generale William Ruckelshaus rifiutò l’ordine e si dimise, Nixon si rivolse infine all’avvocato del governo Robert Bork, che accettò di licenziare il procuratore speciale Cox. Questo episodio causò un’ondata di indignazione pubblica e per la prima volta i sondaggi mostrarono che la maggioranza degli americani voleva l’impeachment di Nixon.

La decisione unanime della Corte Suprema

Il momento decisivo arrivò con il caso United States v. Nixon del 1974. Nixon aveva nominato ben quattro giudici alla Corte Suprema: il Chief Justice Warren Burger e i giudici Harry Blackmun, Lewis F. Powell e William Rehnquist. Nonostante questi suoi nominati, la Corte decise all’unanimità contro il presidente il 24 luglio 1974. La decisione fu letta dal Chief Justice Warren Burger, proprio l’uomo che Nixon aveva nominato. Il giudice William Rehnquist si astenne dal voto avendo lavorato nell’amministrazione Nixon. La Corte stabilì che il presidente non poteva invocare il privilegio dell’esecutivo per rifiutarsi di consegnare prove in un procedimento penale.

L’epilogo: Le dimissioni di Nixon e la grazia di Ford

Di fronte alla certezza dell’impeachment, Richard Nixon annunciò le sue dimissioni l’8 agosto 1974, diventando il primo e unico presidente nella storia americana a dimettersi. Il vicepresidente Gerald Ford assunse la presidenza, dopo essere già subentrato a Spiro Agnew, che si era dimesso nel 1973 per uno scandalo di corruzione non collegato al Watergate. L’8 settembre 1974, appena un mese dopo aver assunto la carica, Ford concesse a Nixon una “grazia piena, libera e assoluta” per tutti i crimini che poteva aver commesso durante la presidenza. Questa decisione, motivata dal desiderio di porre fine al “lungo incubo nazionale”, si rivelò politicamente disastrosa per Ford. La popolarità di Ford crollò dal 72% al 49% in pochi giorni. La stampa parlò di un accordo segreto tra i due, con Nixon che avrebbe facilitato l’ascesa di Ford in cambio del perdono. Questa controversia contribuì alla sconfitta di Ford nelle elezioni presidenziali del 1976 contro il democratico Jimmy Carter.

Il Watergate nel cinema: “Tutti gli uomini del presidente”

La vicenda Watergate trovò la sua consacrazione cinematografica nel film “All the President’s Men” (Tutti gli uomini del presidente) del 1976, diretto da Alan J. Pakula. Il film, basato sul libro omonimo scritto da Woodward e Bernstein nel 1974, rappresentò un capolavoro del cinema politico degli anni ’70. Robert Redford interpretò Bob Woodward, mentre Dustin Hoffman vestì i panni di Carl Bernstein. Jason Robards vinse l’Oscar come miglior attore non protagonista per la sua interpretazione di Ben Bradlee, il direttore del Washington Post. Hal Holbrook interpretò la misteriosa figura di Deep Throat. Il film fu nominato in multiple categorie agli Oscar, Golden Globe e BAFTA, e nel 2010 fu selezionato per la conservazione nel National Film Registry della Library of Congress come opera “culturalmente, storicamente o esteticamente significativa”. La pellicola di Pakula rimane ancora oggi un grande omaggio al giornalismo d’inchiesta e un esempio straordinario di cinema d’impegno civile. Lo scandalo Watergate non solo portò alle dimissioni di un presidente, ma cambiò per sempre il rapporto tra stampa, politica e opinione pubblica negli Stati Uniti, dimostrando la forza del “quarto potere” nel controllare e limitare gli abusi del governo.

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